Rassegna Stampa 2011

Costantino Catena inaugura il Festival Pianistico di Napolinova

La XV edizione del Festival Pianistico, organizzato dall’Associazione Napolinova, sotto la direzione artistica di Alfredo de Pascale, ha avuto inizio nella splendida cornice della Cappella del Vasari, nella chiesa di S. Anna de’ Lombardi. Il concerto inaugurale è stato affidato a Costantino Catena, musicista salernitano di vasta e solida esperienza che, nell’ambito di una stagione dedicata quest’anno interamente a Liszt, nel duecentesimo dalla nascita del grande compositore, ha proposto un recital intitolato “Franz Liszt, tra Napoli e Venezia”. Catena ha aperto la serata con La lugubre gondola, brano piuttosto particolare ed enigmatico, appartenente alla produzione conclusiva dell’autore ungherese, caratterizzato da un taglio molto moderno. A seguire la Tarantella di Dargomijski e i tre brani Gondoliera, Canzone e Tarantella, appartenenti al supplemento al II anno degli Années de Pèlerinage, rivolto a Venezia e Napoli. Dopo un breve intervallo si è passati a trascrizioni tratte da lavori di autori operistici, iniziata con Rossini (La gita in gondola e La danza-tarantella napoletana, dalle Soirées musicales), proseguita con Donizetti (Nuit d’été a Pausilippe, dalle Soirées italiennes) e conclusa con Auber (Tarantella di bravura d’après La muette de Portici). Per quanto riguarda il protagonista della serata, Costantino Catena ha innanzitutto il grande merito di aver concepito un programma molto ben articolato e di grande interesse, abbinando pezzi molto noti, ad altri di rarissimo ascolto. A ciò va aggiunta la sua estrema bravura nell’eseguire brani dove Liszt impone al solista non solo un elevato virtuosismo, ma anche una notevole dose di sensibilità, il che è emerso pienamente nella sua interpretazione. Pubblico numeroso, con qualche turbolenza di troppo, che ha gradito moltissimo i brani eseguiti, in particolare quelli nei quali erano riconoscibili motivi tipici della tradizione partenopea, sottolineando i vari passaggi con canticchiamenti assortiti o, nel caso delle tarantelle, con accompagnamenti ritmici di vario genere. Bis finale, richiesto a gran voce e subito concesso, consistente nella Parafrasi da Concerto dal Rigoletto di Verdi, altro pezzo virtuosistico con il quale Costantino Catena ha chiuso in grande stile il suo splendido recital.

Al Festival pianistico di Napolinova Giusy Caruso propone un Liszt sospeso fra sacro e diabolico

Nella Sala Chopin di Palazzo Mastelloni ha avuto luogo il secondo concerto del XVFestival pianistico di Napolinova, rivolto interamente alla figura di Franz Liszt, del quale cade il duecentesimo anniversario dalla nascita. Ospite del recente appuntamento è stata Giusy Caruso, che al compositore ungherese risulta particolarmente legata, in quanto per la sua prima incisione discografica ha utilizzato alcuni pezzi tratti dal suo sterminato repertorio. La musicista calabrese ha aperto il recital con la trascrizione dell’aria Cujus Animam, dallo Stabat Mater di Rossini, un inizio non casuale poiché tale versione venne scritta da Liszt a seguito di una richiesta di una contessa romana che partecipò attivamente ai moti patriottici. I successivi St. François d’Assise: “La prèdication aux oiseaux” e St. Françoise de Paule marchant sur les flots, contenuti nell’ambito delle Deux Légendes, vennero composti fra il 1863 ed il 1865,periodo travagliato che culminò nella decisione di Liszt di prendere i voti come abate. Al repertorio sacro appartenevano anche Confutatis maledictis e Lacrymosa, dal Requiem di Mozart, mentre la conclusione è stata dedicata a “Après une lecture du Dante: Fantasia quasi sonata” (1849), pezzo lungo ed elaborato tratto dal secondo volume de “Les Années de Pèlerinage”, primo dei due rivolti all’Italia, che fa riferimento alle impressioni ricevute leggendo la Divina Commedia, nel quale sono descritti gli stati d’animo delle anime dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, con una predilezione per i passaggi di tipo “infernale”. Veniamo quindi a Giusy Caruso, pianista già apprezzata lo scorso anno, in un recital nel quale propose, a sorpresa, le musiche di Rota e Messiaen (spiazzando piacevolmente il pubblico che attendeva Liszt e Chopin). La sua interpretazione dei vari brani di Liszt ha fatto emergere quelle doti di grande virtuosismo e di estrema sensibilità, che traspaiono anche dal cd citato in precedenza, alle quali si aggiungevano le emozioni legate all’esecuzione “dal vivo”. A ciò vanno aggiunte le condizioni quasi proibitive in cui si è esibita, con un caldo infernale ed un pubblico numerosissimo, che arrivava quasi a ridosso del pianoforte, nella accogliente ma piccola Sala Chopin, che all’ultimo momento ha sostituito la più ampia Cappella del Vasari della chiesa di S. Anna de’ Lombardi, sede preposta alla rassegna, indisponibile a causa di problemi logistici non dipendenti dall’organizzazione. Successo conclusivo meritatissimo e bis consistente nell’Ave Verum di Mozart, naturalmente in versione lisztiana, a coronamento di un concerto che ha confermato l’elevato valore del festival curato da Alfredo de Pascale, direttore artistico dell’Associazione Napolinova.

Nicola Ormando esplora il pianismo prima e dopo Liszt

Nella splendida Cappella del Vasari della chiesa di S. Anna de’ Lombardi si è svolto il terzo appuntamento con il Festival Pianistico di Napolinova, curato da Alfredo de Pascale. Protagonista del concerto, una figura molto particolare del panorama campano, Nicola Ormando, che riesce ad abbinare la sua attività di apprezzato ingegnere, con quella di pianista di ottimo livello. Per l’occasione ha proposto una serie di brani che, solo apparentemente, esulavano dal tema principale della rassegna (quest’anno incentrata su Franz Liszt, nel duecentesimo della nascita), in quanto pur appartenenti ad altri autori, disegnavano una sorta di breve storia del pianoforte.
La Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV 903 di Bach, con la quale si è aperto il recital (scritta in origine
per clavicembalo), fa parte di quei pezzi entrati nel repertorio di molti grandi pianisti del Novecento.
Un inizio non casuale, se pensiamo che, dopo Mendelssohn, fu Liszt a tenere viva l’attenzione nei confronti del sommo compositore tedesco, denotando una grande lungimiranza. Ed infatti, il successivo Preludio e Fuga in la minore BWV 543, consisteva nella versione lisztiana di un noto brano organistico bachiano, che ha preceduto la trascrizione del Preludio Corale “Ich ruf’ zu dir, Herr Jesu Christ” in fa minore BWV 639, tratto dall’ Orgelbüchlein, sempre di Bach, ad opera di Ferruccio Busoni, autore italiano di respiro europeo, vissuto fra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Dopo un breve intervallo, la seconda parte è stata interamente rivolta a Chopin ed alla sua Sonata in si minore, op. 58 (1844), terza in ordine di tempo, se contiamo anche un lavoro giovanile pubblicato postumo, dedicata alla contessa Emilie de Perthuis, consigliera musicale del re Luigi Filippo, già omaggiata anni prima dal musicista polacco con il gruppo delle quattro Mazurke, op. 24.
In complesso un programma molto difficile, che Nicola Ormando ha affrontato da grande interprete della tastiera, con calma e sicurezza, unite ad una giusta dose di virtuosismo e ad un tocco delicato.
L’ottima prova ha avuto come appendice la struggente Consolation n. 3 (da Six penseés poétiques S. 172), suonata come bis e celebrativa del bicentenario della nascita di Liszt.
Sarebbe bello chiudere qui l’articolo, ma non possiamo ignorare la nota stonatissima del recital, relativa alla presenza di un pubblico, che definire pessimo è quasi un eufemismo, dove agli habitué dei concerti di Napolinova, dei quali conosciamo vita, morte e miracoli, si sono aggiunti numerosi “infiltrati” della peggiore specie.
Vorremmo, ad esempio, avere fra le mani quell’idiota (e siamo buoni a definirlo tale), che ha applaudito al termine del primo movimento della sonata chopiniana, portandosi appresso buona parte degli spettatori. Ancora, ci chiediamo il motivo per cui tutti quelli che sono raffreddati debbano sedersi in prima fila, sottoponendo l’artista di turno al fuoco di starnuti più potenti di quelli di Eolo (uno dei nani di Biancaneve) e di
colpi di tosse che sono autentiche fucilate.
Se siamo arrivati al paradosso che lo squillo di un cellulare va considerato il male minore, visto che si ripete sicuramente con meno frequenza, qualcosa non torna. Ciliegina sulla torta, nell’occasione, l’arrivo di un gruppetto verso la fine della serata (questo sì costituito da facce note), proveniente da un altro concerto tenutosi nei pressi, che non solo non si è fermato sulla soglia, ma è andato alla caccia dei pochi posti liberi sparsi per la sala, dando fastidio praticamente a tutti (se fosse dipeso da noi non li avremmo proprio fatti entrare).
La conclusione, tristissima, è che siamo giunti ad un punto di non ritorno, in quanto una parte preponderante di spettatori sembra aver smarrito l’educazione necessaria per poter seguire un evento di musica classica, il che si traduce in una mancanza di rispetto sia verso i veri appassionati, sia nei confronti di chi si esibisce.

Nella Cappella del Vasari grande successo del recital pianistico di Genny Basso

Il penultimo concerto della XV edizione del Festival Pianistico di Napolinova, curato da Alfredo de Pascale, ha ospitato il napoletano Genny Basso, che si è confrontato con un programma costituito da brani di Mozart, Beethoven, Chopin e Liszt In apertura abbiamo ascoltato la Sonata in la maggiore K. 331 di Mozart, composta a Parigi nel 1778, che inizia con un tema e sei variazioni di grande suggestione e, dopo un Minuetto, si chiude con il “Rondo alla Turca”, uno dei motivi più famosi della produzione del genio di Salisburgo.
Molto conosciuta anche la successiva Sonata n. 14, in do diesis minore op. 27, n. 2 (1801), che Beethoven dedicò alla contessa diciassettenne Giulietta Guicciardi. Definita dall’autore “sonata quasi una fantasia”, in quanto non seguiva rigorosamente gli schemi del genere, è passata alla storia con l’appellativo “Al chiaro di luna”, che si deve al critico musicale Ludwig Rellstab, secondo un’usanza tipicamente romantica di fornire un titolo che, in un certo senso, aiutasse ad inquadrare la composizione.
Dopo l’intervallo, breve incursione nella produzione chopiniana, con due Notturni, in mi minore n. 19 (1827) e in do diesis minore, n. 20 (1830), entrambi pubblicati postumi. Il secondo, in particolare, venne dedicato da Chopin alla sorella maggiore Ludwika e contiene temi che il musicista sviluppò nel Concerto per pianoforte ed orchestra n. 2.
La conclusione del recital è stata rivolta, doverosamente, a Liszt (del quale si celebrano i duecento anni dalla nascita), con l’ Étude d’exécution transcendante n. 11 in re bemolle maggiore “Armonie du soir” e la Rapsodia Ungherese n. 2 in do diesis minore.
Il primo appartiene ad una raccolta di dodici pezzi, frutto di una lunga gestazione durata dal 1826 al 1852, dove si possono intravedere i primi germi dell’impressionismo, mentre la seconda risulta la più celebre fra le diciannove rapsodie, tributo dell’autore alla tradizione folcloristica del suo paese.
Veniamo, quindi, all’interprete, che ha proposto per la maggior parte brani familiari anche a chi frequenta poco
le sale da concerto, fornendo una buona prova e dimostrando di essere particolarmente a suo agio nei movimenti lenti, come l’Adagio sostenuto della sonata beethoveniana, e nei brani intimi e raccolti quali i due Notturni di Chopin.
Pubblico numerosissimo, che ha gremito la Cappella del Vasari (con i problemi che ne conseguono e che stavolta non approfondiamo, anche se, in proporzione, le cose sono andate un po’ meglio), ed ha più volte applaudito l’artista, fino ad una vera e propria ovazione finale.
Il Festival si chiude oggi con un altro pianista napoletano, Massimo Tomei, figlio d’arte che ha già riscosso numerosi e meritati successi, la cui proposta sarà rivolta al Liszt trascrittore e compositore.

La stagione estiva dei “Pomeriggi in Concerto” di Napolinova apre nel segno del violino

Primo appuntamento con la decima edizione estiva dei “Pomeriggi in Concerto”, organizzati da Alfredo de Pascale, direttore artistico dell’Associazione Napolinova. Quest’anno, nei suoi quattro appuntamenti, la rassegna proporrà incontri monografici, il primo dei quali ha avuto come protagonista il violino, con il recital conclusivo degli allievi della masterclass di Manuel Meo. I partecipanti, molto giovani, hanno quasi tutti suonato con il maestro, a cominciare da Maria Paola Opallo e Cosimo De Angelis, confrontatisi con due dei circa 50 duetti del compositore e violinista piemontese Giovanni Battista Viotti (1755-1824). E’ stata poi la volta di Gabriella Maria Marchese che, accompagnata dal pianista Paolo Barbone, ha eseguito Nigun, secondo movimento della suite “Baal Shem”, scritta in ricordo del fondatore del movimento chassidico Baal-Shem Tov da Ernest Bloch (1880-1959), autore svizzero di origini ebraiche, divenuto poi cittadino statunitense.
Due i brani interpretati da Myriam Labiausse, un duetto di Viotti, con il maestro Meo e, insieme a Paolo Barbone, il movimento iniziale (Larghetto) della Sonata per violino in sol minore di Tartini, nota anche come “Il
Trillo del Diavolo”, mentre in chiusura abbiamo ascoltato Federica Severini, che ha dato vita al quarto ed ultimo dei duetti di Viotti in programma.
Nel complesso i ragazzi hanno evidenziato grande talento e sono stati molto bravi a superare l’impatto emotivo
con il pubblico, che gremiva in ogni ordine di posto la “Sala delle Conferenze” del Museo Archeologico Nazionale.
Conclusione, in una sorta di bis, con Manuel Meo e Paolo Barbone, brillantissimi interpreti della trascinante Tzigane, (1924) di Maurice Ravel, brano commissionato all’autore francese dal violinista Jelly d’Arányi, e appuntamento al prossimo concerto, domenica 10 luglio, dedicato al violoncello, che avrà come protagonisti gli alunni della masterclass di Sandro Meo.

I “Pomeriggi in Concerto” di Napolinova spaziano da Monteverdi a Di Capua con gli allievi di Delfo Menicucci

Come da tradizione, i “Pomeriggi in Concerto” di Napolinova, la cui direzione artistica è affidata ad Alfredo de Pascale, hanno riservato un loro spazio alla lirica, con il saggio degli allievi del Master Internazionale di Canto e Tecnica Vocale del tenore Delfo Menicucci, svoltosi nella “Sala delle Conferenze” del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
L’appuntamento, che è sempre fra i più attesi della rassegna, non ha deluso le aspettative dei numerosi spettatori, che hanno potuto ascoltare ed apprezzare una serie di voci, appartenenti sia ad artisti abituati ad esibirsi in pubblico, sia a persone alla loro prima esperienza. A tale proposito va ricordato ciò che il maestro tende a sottolineare, ogni volta che incontra il suo affezionatissimo pubblico, relativamente agli scopi principali del Master, che sono quelli di comprendere le potenzialità e la collocazione delle singole voci, proporre esercizi volti a salvaguardare le corde vocali e, inoltre, puntare su una dizione quanto più chiara possibile.
Quest’anno i partecipanti al Master erano cinque, quattro soprani e un tenore, ed hanno spaziato attraverso un repertorio comprendente opera, operetta e canzone napoletana, accompagnati al pianoforte da Simonetta Tancredi. Il recital, preceduto da una breve introduzione del maestro Menicucci, che ha fra l’altro raccontato alcuni gustosi aneddoti legati alla sua carriera, è iniziato con “Sento un certo non so che”, dall’“Incoronazione di Poppea” di Monteverdi, interpretato da Valentina Galano.
E’ stata poi la volta di Takashi Kawamorita, con “Occhi di Fata” di Luigi Denza, seguito da Sonia Miele, con il
pucciniano “Vissi d’arte”, e Concetta Stucchio con l’Ave Maria di Verdi (da “Otello”). Dopo il secondo contributo del tenore giapponese (“Amor ti vieta” da “Fedora” di Giordano), largo a Floriana Lena, che ha dato vita ad un duetto con il maestro Menicucci (“Tace il labbro”, da “La vedova allegra” di Lehar). Successivamente la Stucchio ha rivolto la sua attenzione al repertorio di Puccini (“Tu che di gel sei cinta”, da “Turandot”), mentre Kawamorita ha proposto “Vesti la giubba” (da “Pagliacci” di Leoncavallo). Ultimi due brani in programma, “Io son l’umile ancella” (da “Adriana Lecouvreur” di Cilea), nell’interpretazione di Sonia Miele, e “’O sole mio” (di Capurro-Di Capua), affidato al duo Lena-Kawamorita.
Non poteva mancare un bis, in questo caso collettivo, durante il quale i cinque cantanti si sono confrontati con le note della celeberrima “Funiculì, funicolà” (dovuta all’estro di Peppino Turco e Luigi Denza), scatenando una
platea già abbastanza elettrica.
Per quanto riguarda i partecipanti, hanno tutti contribuito all’ottima riuscita del concerto, nell’ambito delle differenti potenzialità, testimonianza tangibile dell’efficacia degli insegnamenti del maestro Menicucci. Il caso più eclatante, al proposito, è sicuramente quello del giapponese Takashi Kawamorita che, pur conoscendo appena poche parole della nostra lingua, ha mostrato una buona pronuncia, sia nei pezzi italiani che napoletani, accompagnando le sue esibizioni con una straordinaria presenza scenica.
Ricordiamo, infine, il notevole apporto di Simonetta Tancredi, molto brava a supportare i diversi artisti, seguendoli nelle loro evoluzioni.
La rassegna si chiuderà domenica 24 luglio, con il concerto degli allievi del Master Internazionale di Pianoforte tenuto da Antonio Pompa-Baldi, pianista foggiano trapiantato negli Usa.

I “Pomeriggi in Concerto” di Napolinova chiudono all’insegna del pianismo pugliese con gli allievi del Master Internazionale tenuto da Antonio Pompa-Baldi

Nella “Sala delle Conferenze” del Museo Archeologico Nazionale di Napoli si è svolto l’ultimo appuntamento con la decima edizione estiva dei “Pomeriggi in Concerto” di Napolinova, rassegna la cui direzione artistica è affidata ad Alfredo de Pascale. Protagonisti del saggio di chiusura sono stati i partecipanti del Master Internazionale di pianoforte, tenuto dal maestro Antonio Pompa-Baldi, foggiano trapiantato negli Usa, dove ricopre il ruolo di “Distinguished Professor of Piano” al Cleveland Institute of Music, nomina ricevuta per chiara fama.
Proprio Pompa-Baldi, prima di lasciare la ribalta ai suoi allievi, ha voluto dare un contributo personale all’incontro, descrivendo quanto sta avvenendo negli Usa per le celebrazioni legate al bicentenario della nascita di Liszt. Il recital si è aperto con il trevigiano Luciano Boidi, appena quindicenne, ma già dotato di grande personalità, che ha eseguito il primo tempo della Sonata op. 10, n. 1 di Beethoven, gli Studi n. 1 e n. 4 di Liszt (dai dodici Études d’exécution transcendante, op. 1) ed il celeberrimo “Invito alla Danza” di Carl Maria von Weber, noto soprattutto nella versione orchestrata da Berlioz.
Abbiamo quindi ascoltato Francesca Testa, allieva del Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella, che si è ben confrontata con il movimento conclusivo della Sonata n. 8 in do minore, op. 13 di Beethoven, meglio conosciuta come “Patetica” e con uno Studio di Mendelssohn.
E’ stata poi la volta della tarantina Fernanda Damiano, una vecchia conoscenza, a dispetto dei suoi sedici anni, che ha interpretato la complessa Ballata n. 2 in si minore di Liszt, denotando grande concentrazione e notevole sicurezza interpretativa, indici di un cammino costante e progressivo verso la maturità artistica.
Ultimi due interpreti, Simona Aprile e Antonio Russo, anche loro pugliesi, con la pianista che ha affrontato il movimento iniziale della Fantasia, op. 17 di Schumann e Jeux d’eau di Ravel, destando impressioni molto favorevoli, in particolare nell’esecuzione del pezzo dell’autore francese.
Dal canto suo, Russo ha mostrato una buona solidità, dando vita ad una esibizione di notevole spessore, sia quando ha proposto il primo movimento della Sonata op. 10, n. 3 di Beethoven, sia nello Scherzo in si bemolle minore n. 2, op. 31 di Chopin.
Nel complesso il recital ha evidenziato l’elevato livello di tutti i partecipanti, frutto di una sinergia fra il talento dei singoli ed i consigli e suggerimenti forniti dal maestro Pompa-Baldi durante il breve ma intenso Master. A tal proposito si deve constatare come, in ambito meridionale, da alcuni anni a questa parte, stia emergendo prepotentemente una scuola pianistica pugliese, molto vicina a togliere il primato a quella napoletana.
Chiudiamo con un paio di considerazioni, una sugli spettatori, l’altra relativa alla rassegna. Riguardo al pubblico, sempre numerosissimo, risultava a tratti estremamente indisciplinato. Nell’occasione l’apice è stato raggiunto da un videoamatore ed un fotografo, vicinissimi al pianoforte, che hanno rischiato di far perdere la concentrazione agli esecutori, e da una signora che ha portato il suo cane, dimostratosi per quasi l’intero concerto molto più silenzioso degli umani che lo circondavano, iniziando ad abbaiare solo durante la sonata conclusiva di Beethoven (con la padrona che, come se la cosa non la riguardasse, non ha pensato nemmeno un attimo di allontanarsi dalla sala insieme all’animale, attirandosi le sacrosante ire dei vicini).
Relativamente alla rassegna, essa ancora una volta ha raggiunto pienamente il suo scopo, che è quello di dare alle giovani promesse la possibilità di esibirsi davanti ad un pubblico, cosa che, soprattutto in un periodo come quello attuale, diventa sempre più difficile.
Se aggiungiamo il notevole riscontro di spettatori, e un livello costantemente buono dei musicisti, non possiamo
che ringraziare il direttore artistico Alfredo de Pascale, artefice di una manifestazione, giunta ormai alla decima
edizione, cifra che per Napoli rappresenta un vero e proprio record.

Carlo Dumont e Fabrizio Romano grandi protagonisti al Festival di Musica da Camera di Napolinova

Secondo appuntamento con la XIV edizione del Festival di Musica da Camera, rassegna organizzata dall’Associazione Culturale Napolinova, sotto la direzione artistica di Alfredo de Pascale.
Nella splendida sacrestia della Chiesa di S. Anna dei Lombardi, affrescata dal Vasari, si è esibito il duo formato dal violinista Carlo Dumont e dal pianista Fabrizio Romano, che ha proposto alcuni pezzi cameristici di rara bellezza. Apertura con la Sonata in do maggiore K. 296 di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), scritta nella primavera del 1778 a Mannheim.
Dedicataria fu Teresa Pierron, allieva del genio di Salisburgo e figliastra del Consigliere di Corte Pierron, che aveva ospitato il compositore durante il suo soggiorno nella cittadina tedesca.
Indicata come “sonata per pianoforte, con accompagnamento del violino”, in realtà prevede una divisione dei compiti quasi paritaria fra i due strumenti.
Secondo brano in programma, la Sonata per violino e pianoforte in la minore, op. 137 n. 2 di Franz Schubert (1797-1828), composta nel 1816, ma pubblicata postuma da Diabelli nel 1836 con l’appellativo di “Sonatina”. Si tratta di un brano dove l’intenso romanticismo si abbina ad una scrittura che richiede notevole virtuosismo, e va ricordato come l’autore austriaco la creò quando aveva appena 19 anni. Lavoro giovanile anche il terzo ed ultimo brano della serata, la Sonata in sol minore per violino e pianoforte, op. 22 di Giuseppe Martucci (1856-1909), risalente al 1874, che presenta una struttura molto solida ed una vena melodica di forte influenza brahmsiana. Dal punto di vista interpretativo, Carlo Dumont e Fabrizio Romano hanno evidenziato molto bene le peculiarità dei tre brani, disegnando un Mozart vivace e quasi salottiero, uno Schubert romantico, al limite del parossismo, e un Martucci energico e pieno di vitalità.
Ottimo è risultato anche l’affiatamento fra i due, soprattutto nei passaggi dove il pianoforte doveva supportare le evoluzioni virtuosistiche del violino.
Pubblico numeroso, attento e molto soddisfatto, che ha chiesto un bis ed è stato accontentato con la proposizione del breve Intermezzo di Robert Schumann, degna chiusura di un bellissimo concerto.

Un duo d’eccezione chiude il XIV Festival di Musica da Camera di Napolinova

L’ultimo appuntamento della XIV edizione del Festival di Musica da Camera di Napolinova, tenutosi nella splendida Cappella del Vasari della chiesa di S. Anna dei Lombardi, ha ospitato il duo formato da Fabrizio Falasca (violino) e Simona Padula (pianoforte).
Nella prima parte i due musicisti hanno proposto un pezzo solistico, con Falasca che ha eseguito la Sonata n. 4 in mi minore (dalle Sei sonate per violino solo, op. 27) di Eugène Ysaÿe, dedicato dal compositore belga a Fritz Kreisler.
Simona Padula ha invece interpretato “Après une lecture du Dante: Fantasia quasi sonata”, dal secondo volume de “Les Années de Pèlerinage” di Liszt, dove l’autore ungherese, suggestionato dai versi della Divina Commedia, volle descrivere i contrastanti stati d’animo che caratterizzano le anime dell’Inferno e del Paradiso. Il secondo tempo è stato rivolto a brani per violino e pianoforte, a cominciare dalla Sonata in mi minore K. 304 di Mozart, i cui due movimenti sarebbero stati scritti in parte a Mannheim e in parte a Parigi.
Un brano sicuramente famoso, ma mai quanto la successiva Sonata in fa maggiore, op. 24 n. 5 di Beethoven, meglio nota come “La Primavera”, soprannome aggiunto dall’editore viennese Mollo al momento della pubblicazione.
Dedicata al conte Moritz von Fries, uno dei principali mecenati di Beethoven, la sonata introduce nel genere un’
innovazione, ancora allo stato embrionale, in quanto al posto dei consueti tre movimenti, se ne affianca un quarto di brevissima durata (Scherzo).
Ultimo pezzo in programma, Zigeunerweisen, op. 20 di Pablo de Sarasate, composto originariamente per violino e pianoforte, anche se la versione per violino ed orchestra ha guadagnato una maggiore celebrità.
Alla base del brano vi sono alcuni motivi tzigani, tratti dalla tradizione ungherese, attorno ai quali l’autore spagnolo costruì una partitura, concepita per mettere in risalto le sue abilità di violinista e, non a caso, fu sempre lui a registrare la prima incisione ufficiale nel 1904.
Riguardo ai due interpreti, siamo di fronte ad artisti prestigiosi, fra i migliori delle rispettive generazioni, che hanno evidenziato sia un’estrema bravura come solisti, sia un ottimo affiatamento in duo, dando vita a un recital di grandissimo livello, tanto più se si pensa che al concerto doveva partecipare anche il cornista Filippo Azzaretto, costretto a dare forfait per una noiosa indisposizione, per cui i due musicisti hanno dovuto, in pochissimo tempo, allestire un programma alternativo.
I ringraziamenti conclusivi vanno, come sempre, ad Alfredo de Pascale, direttore artistico della Associazione Napolinova, che ancora una volta, e con mezzi sempre più limitati, è riuscito ad organizzare una ottima rassegna di musica da camera, dove hanno trovato posto artisti affermati e giovani musicisti molto promettenti.

Il duo formato da Umberto Aragona e Domenico Cacace apre i “Pomeriggi in Concerto alla sala Chopin” di Napolinova

I “Pomeriggi in Concerto”, organizzati dall’Associazione Napolinova, sono da sempre una prestigiosa vetrina per i giovani talenti. Questa volta, però, il direttore artistico Alfredo de Pascale ha voluto inaugurare la stagione, che ha come sede fissa la sala Chopin, presso la ditta Napolitano pianoforti, con un duo formato da artisti di notevole esperienza, il violinista Umberto Aragona ed il pianista Domenico Cacace, che hanno proposto brani tratti dalla produzione di Bach, Stravinskij e Beethoven. In apertura abbiamo ascoltato la Sonata n. 2 in la maggiore BWV 1015 di Bach, dalle Sei sonate per violino e clavicembalo BWV 1014-1019, appartenenti agli anni in cui il grande compositore era a Köthen (1717 – 1723) in qualità di maestro di cappella del principe Leopoldo.
A tale periodo risale la maggior parte della produzione profana di Bach, in quanto impossibilitato a proporre brani religiosi perché la fede calvinista, professata dal nobile, vietava di accompagnare le funzioni liturgiche con
la musica.
In particolare, questo gruppo di sonate assume una grande importanza poiché il clavicembalo, per la prima volta, assume una propria autonomia e non è più relegato esclusivamente ad una funzione di basso continuo.
Secondo brano in programma, la Suite Italienne di Stravinskij, risalente al 1925 e diretta emanazione del più ampio Pulcinella, “balletto con canto su musiche di Pergolesi”. Quest’ultimo, scritto per i “Ballets Russes” di Diaghilev, attingendo a vari spartiti che erano stati attribuiti al grande autore di Iesi (ma in realtà in diversi casi appartenevano a Domenico Gallo), aveva segnato nel 1920 l’inizio del cosiddetto “periodo neoclassico” del compositore russo.
Dopo un breve intervallo, il secondo tempo è stato interamente dedicato alla Sonata n. 5 in fa maggiore op. 24, universalmente nota come “La Primavera”, appellativo aggiunto dall’editore viennese Mollo, quando la diede alle stampe nel 1801, in virtù della freschezza del movimento iniziale.
Dedicata al conte Moritz von Fries, uno dei principali mecenati di Beethoven, presenta una innovazione nell’ambito della sonata, seppur abbastanza timida, perché al posto dei consueti tre movimenti, ne introduce un
quarto (Scherzo) di brevissima durata.
Per quanto riguarda il recital nel complesso, la parte più interessante è risultata senza dubbio quella rivolta a Stravinskij, sia perché il pezzo risulta raramente eseguito, sia per una versione tagliente e ricca di scabrosità, molto aderente allo spirito dell’autore russo, scelta dal maestro Aragona.
Gli altri due brani, eseguiti in modo discreto, hanno messo in evidenza il solido pianismo del maestro Cacace che ha ben supportato le evoluzioni violinistiche.
Pubblico al limite della decenza, con troppe caramelle scartocciate e colpi di tosse praticamente continui, al quale è stato offerto come bis Vocalise op. 34 n. 14 di Rachmaninov, che ha chiuso il concerto con una giusta dose di emozioni.

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